Di fronte allo scenario di un comparto, quello della moda, che rappresenta la seconda industria più inquinante al mondo (dopo quella petrolifera) e per spreco di risorse - in particolar modo l’acqua - il tema del recupero dei rifiuti tessili diventa fondamentale.

Allo stesso tempo, dal momento che il settore della moda è estremamente vasto e articolato, anche l’utilizzo di materiale riciclato e il richiamo a progetti di economia circolare ad esempio, diventano delle priorità del comparto.

Dal momento che il settore moda è estremamente vasto e articolato, anche gli approcci alla moda sostenibile sono diversi e comprendono un gran numero di progetti di sostenibilità aziendale, molto differenziati tra loro, ma tutti rivolti a rendere il settore più etico ed eco-compatibile. 

Settore moda e recupero di rifiuti tessili

Negli ultimi anni si è sempre più diffuso il fast fashion che ha portato a un forte aumento della quantità di indumenti prodotti ma anche di rifiuti, costituiti principalmente da materiali sintetici, che rappresentano oggi il 60% delle fibre tessili immesse nel mercato (il poliestere è la fibra più usata). Nel ciclo di recupero dei rifiuti tessili solo l’1% al mondo viene recuperato sotto forma di nuovi abiti, tant’è che l’Unione europea ha posto questo aspetto tra i punti prioritari su cui lavorare come esempio di economia circolare dove il settore tessile può giocare un ruolo molto importante nella partita per la transizione ecologica. Ecco che quindi anche i rifiuti tessili sono entrati prepotentemente nel New Deal della Commissione Europea, che ha chiesto agli Stati membri di raccoglierli in maniera differenziata dal 1° gennaio 2025 come uno dei target sostenibili delle direttive sull’economia circolare. L’Italia ha fatto anche di più, con il decreto legislativo n. 116 del 2020, il nostro Paese è intervenuto sulla nuova normativa per i rifiuti, anticipando la scadenza al 1° gennaio 2022.  

L’economia circolare come esempio

Che il recupero dei rifiuti rappresenti oggi un tema urgente, e quindi anche una delle principali tematiche riguardanti l’economia circolare, è evidente dando un’occhiata a ciò che accade agli scarti del settore moda a livello mondiale:

  • l’87% finisce in discarica o incenerito;
  • il 13% rappresenta il materiale riciclato, destinato a prodotti di valore inferiore;
  • solo l’1% viene trasformato in nuovi abiti.

La situazione in Italia è descritta nell’ultimo rapporto “L’Italia del riciclo 2020”, di Fondazione Sviluppo Sostenibile, secondo cui il totale dei rifiuti tessili è così destinato:

  • il 68% viene riutilizzato (indumenti, scarpe e accessori adoperabili finiscono direttamente nei nuovi cicli di consumo);
  • il 29% viene riciclato (per ottenere pezzame industriale o materie per l’industria tessile, imbottiture o materiali fonoassorbenti);
  • il 3% viene smaltito.

Indipendentemente dal Paese, la situazione attuale è stata profondamente influenzata dalle conseguenze della pandemia. Capi invenduti e magazzini saturi hanno portato ad un ulteriore aumento di rifiuti tessili che, se riutilizzati, salverebbero una cifra corrispondente a più di 100 miliardi di dollari l’anno, oltre a salvaguardare l’ambiente. 

L’impronta ecologica del settore moda

Secondo il Circular Economy Action Plan della Commissione Europea, il tessile è il quarto settore per maggior uso di materie prime “primarie” e acqua (dopo alimentare, costruzioni e trasporti) e il quinto per emissioni di gas effetto serra. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) questo settore sarebbe responsabile del 10% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra, più dell’intero trasporto aereo e marittimo messi insieme. L’AEA stima anche che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari. E ancora il lavaggio di indumenti sintetici rappresenta il 35% del rilascio di microplastiche primarie nell’ambiente. Il settore tessile può e deve giocare quindi un ruolo molto importante nella partita per la transizione ecologica e la salvaguardia dell'ambiente . Ma c’è ancora molto da fare in questa direzione. L’assenza di una strategia nazionale e di un disegno organico si vede chiaramente anche dai dati di Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sul costo dello smaltimento e recupero dei rifiuti tessili. Su un campione di 289 Comuni analizzati, i costi di raccolta e trasporto dei rifiuti tessili incidono sui costi totali per l’80,5% per quanto riguarda i rifiuti dell’abbigliamento, mentre incidono per il 55,7% per i rifiuti del tessile. A livello di macro area territoriale il costo di gestione risulta di 11,36 euro/kg al Nord – dove si fa più raccolta differenziata – e più del doppio al Centro, 24,93 (a fronte di quantitativi pro capite annui conferiti rispettivamente pari a 3,27 e 1,59 kg per anno), e addirittura di 27,31 euro al Sud (in corrispondenza di un conferimento pro capite di 1,72 kg per anno). Dati che confermano come l’assenza di filiere organizzate si rifletta anche sui costi in bolletta, oltre che causare i danni ambientali conseguenti. 

Verso una moda ecosostenibile in Italia

Il report della Fondazione MacArthur – una delle dieci più importanti degli Stati Uniti, che ogni anno destina circa 225 milioni di dollari annui in sovvenzioni e investimenti relativi al programma di circular economy – mette in luce quali siano i punti cardine per impostare un’efficace azione per combinare economia circolare al riciclo dei tessuti. Per dar vita alla cosiddetta moda circolare è necessario potenziare gli impianti di raccolta, smistamento e riciclaggio, in modo da ridurre la dipendenza dai mercati esteri, che sono i principali destinatari dei nostri rifiuti tessili; occorrono investimenti in ricerca per arrivare a riciclare le fibre sintetiche (con cui oggi è realizzata la maggior parte dell’abbigliamento) e la strumentazione tecnologica in in grado di rendere più efficace la selezione delle fibre ai fini del riciclo; infine, bisogna puntare a un design in grado di progettare abiti fatti per essere rifatti. L’ecodesign dovrà necessariamente fare parte infatti di questo pensiero circolare, progettando capi e manufatti facilmente disassemblabili e riparabili. La stessa importanza dovrà essere data alla qualità delle fibre impiegate e alla loro omogeneità, entrambi fattori in grado di determinare l’effettivo grado e qualità del recupero.

I rifiuti tessili non servono solo a ricreare nuovi abiti. Essi vengono usati per produrre scarpe, imbottiture, materiali fonoassorbenti, isolanti termici e acustici, stracci e strofinacci per uso industriale. Ma in questa importante transizione verso un’economia circolare anche nel settore moda l’Italia può giocarsi la carta dei distretti, una vocazione quasi naturale per il nostro Paese, considerato il fatto che più del 60% delle imprese tessili si trovano in Toscana, Lombardia, Veneto e Piemonte. Sul fronte del riciclo tessile in particolare, in Italia esiste un vero centro di eccellenza, il distretto di Prato, formato da aziende del settore tessile locale, che da anni costituisce un esempio virtuoso di riciclo. Modello che è poi stato seguito da molte altre aziende italiane del settore. Qui rinascono filati e tessuti cardati, realizzati attraverso l’uso di fibre vergini o riciclate dagli scarti di maglieria mediante un processo che dà vita a prodotti tessili di altissimo livello. 

La moda sostenibile cos’è

Eco fashion, slow fashion o conscious fashion sono tutti modi per definire un grande cambiamento in atto nell’industria della moda, quello appunto della moda sostenibile, un nuovo modo di intendere l’industria in modo etico e che tenda ad annullare l’impatto ambientale. Il settore moda è uno dei più articolati vedendo al suo interno comparti diversi come il tessile, il manifatturiero, la pelletteria e anche tutta la filiera della produzione e del trasporto fino ad arrivare al retail. Un’entità multiforme che a livello globale, secondo recenti stime, ha un valore di 2,4 miliardi di dollari e impiega circa 50 milioni di persone. Sebbene le classifiche possano variare in base ad un grande numero di fattori non c’è dubbio sul fatto che l’impatto ambientale dell’industria della moda sia veramente molto alto e che sia quindi necessario riconvertire in senso etico e sostenibile una grande parte dell’economia mondiale.

Due le grandi direttrici del cambiamento del fashion system su cui è necessario puntare:

  • sul versante della tutela della componente umana si colloca il recupero dell’artigianalità, la valorizzazione dei piccoli brand o designer indipendenti;
  • sul versante dell’impatto ambientale si trovano il riciclo e il recupero dei rifiuti tessili.

Fare economia circolare nel settore tessile può determinare vantaggi di varia natura sia in termini economici che ambientali: dalla creazione di nuovi posti di lavoro nelle strutture di raccolta, selezione e riciclaggio rifiuti; alla maggiore disponibilità di tessuti riciclati con conseguente abbassamento dei costi dei materiali per la produzione di abbigliamento; dal minore utilizzo di risorse non rinnovabili alla sensibile riduzione dell’inquinamento ambientale prodotto in fase di produzione e consegna. Se qualche passo in avanti lo si è fatto sul fronte del riuso molto poco è stato fatto su quello del riciclo. La strada è ancora lunga e, guardando alla data della normativa europea, il tempo è decisamente poco.