Negli USA il Covid-19 causerà nel 2020 un incremento dei crediti deteriorati del 6.5% e delle insolvenze del 25%

Negli USA il covid-19 causera' nel 2020 un incremento dei crediti deteriorati del 6.5% e delle insolvenze del 25%

09 Aprile 2020

I dati ad alta frequenza e il flusso di notizie dagli Stati Uniti ci hanno permesso di avere una migliore percezione delle dimensioni dello shock legato alla diffusione di Covid-19 negli Stati Uniti, della reazione delle autorità pubbliche ad essa e dei futuri effetti a catena. In questo contesto, rivediamo il nostro scenario di crescita del PIL statunitense da +0,5% a -2,7% nel 2020.

  •  Il più grande shock sulla economia USA dal 1947. Prevediamo che la contrazione dell'attività raggiungerà il -30% congiunturale annualizzato nel secondo trimestre del 2020, pari a due volte la contrazione cumulata del periodo 2008-2009. Ad oggi, ci aspettiamo due mesi di distanziamento sociale (marzo e aprile) invece di un solo mese, con una progressiva seppur ritardata ripresa.
  • Una ripresa a forma di U resta il nostro scenario centrale. Le dimensioni e la tipologia delle misure di sostegno monetario suggeriscono che la ripresa inizierà dal 3° trimestre 2020 in poi e si intensificherà nel 4° trimestre 2020, consentendo un rimbalzo della crescita a +3,3% tendenziale annuo nel 2021. Tuttavia, questo rimbalzo avrà un costo in termini di deficit, previsto al 9,6% del PIL nel 2020 e all'8,5% del PIL nel 2021. Riteniamo invece che uno scenario a forma di L, che rappresenta una perdita cumulata in termini di valore aggiunto di 5,5 trilioni di dollari USA in un orizzonte temporale di quattro anni, rispetto ai 1,9 trilioni di dollari del nostro scenario centrale, abbia una probabilità inferiore di verificarsi.
  •  Il tasso di crediti deteriorati (scaduti da oltre 30 giorni) delle imprese statunitensi su prestiti commerciali e per investimenti è probabile che raggiunga un massimo record del 6,5% alla fine dell'anno, il più alto dal 1992. Tuttavia, la dimensione e la struttura dello stimolo fiscale (equivalente a un vasto sistema di garanzie sul credito) e la posizione di cassa delle imprese statunitensi consentiranno una progressione delle insolvenze inferiore rispetto alla crisi dei subprime (ci aspettiamo un aumento del 25% delle insolvenze nel 2020 contro il +47% nel 2008-09).
  • Le aziende americane del settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio sono le più a rischio a causa del blocco delle vendite, in quanto avevano, in media, meno di un mese di fatturato disponibile in liquidità prima della crisi. Nelle attività manifatturiere, i settori più esposti sono l'industria petrolifera e carbonifera (18 giorni di fatturato disponibile in cash), alimentare (40 giorni), tessile (44 giorni) e cartaria (46 giorni).

L’impatto di Covid-19 negli Stati Uniti: oltre -30% di contrazione dell'attività nel 2° trimestre 2020 su base trimestrale annualizzata.

La brutale interruzione delle attività economiche rappresenta un unicum nella storia moderna. Per misurare l'entità di questo shock, abbiamo ipotizzato all'inizio che gli Stati Uniti avrebbero seguito il percorso della Cina, ovvero una contrazione dell'attività al di sotto del loro livello tendenziale per un mese intero, seguita da una progressiva ripresa. Tuttavia, i dati ad alta frequenza provenienti dagli Stati Uniti, in particolare quelli relativi all'occupazione, hanno presto rivelato che eravamo troppo ottimisti. Guardando i dati iniziali sulle richieste dei sussidi di disoccupazione, pubblicati con cadenza settimanale, è emerso che nelle ultime due settimane di marzo più di un milione di persone hanno fatto richiesta della misura di welfare. Ora, cerchiamo di tradurre questo impatto sul mercato del lavoro statunitense in perdite di valore aggiunto.

Esiste una relazione stabile tra le richieste iniziali e le retribuzioni. Ipotizzando che le richieste iniziali rimangano al di sopra dei due milioni per due mesi dopo marzo, e che in seguito si verifichi una progressiva ripresa, si ottiene una perdita di 15 milioni di posti di lavoro prima della fine dell'anno. Supponendo che la popolazione attiva rimanga nel suo trend di progressione, stimiamo che il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti raggiungerà il 13,5% alla fine dell'anno rispetto al 4,4% di marzo e al 3,5% di febbraio, quando è effettivamente iniziato l'adeguamento delle condizioni del mercato del lavoro.

Per stimare le perdite in termini di valore aggiunto e in termini di crescita, utilizziamo la cosiddetta legge di Okun, che descrive il rapporto a lungo termine tra crescita e disoccupazione. Secondo la nostra stessa stima di questa legge, un salto del tasso di disoccupazione dal 3,5% al 13,5% dovrebbe essere il risultato di un significativo calo della crescita dal 2,5% tendenziale annuo nel quarto trimestre del 2019 a un minimo del -8,6% sempre tendenziale nel secondo trimestre del 2020. In queste circostanze, la crescita del PIL statunitense si ridurrebbe del -2,7% annuo nel 2020 rispetto alla crescita del +2,3% nel 2019. Ciò rappresenta una significativa correzione al ribasso rispetto al nostro precedente scenario per il 2020 a +0,5% annuo. Tuttavia, la nostra analisi di sensibilità ha già individuato il fatto che il passaggio da un mese a due mesi di distanziamento sociale negli Stati Uniti [1] è stato sufficiente ad anticipare un livello di crescita molto più basso. Ora anticipiamo due mesi di allontanamento sociale e un ritardo del de-confinamento, il che significa che gli Stati Uniti torneranno al loro livello di attività prima della crisi della Covid-19 solo a metà del quarto trimestre del 2020.

Figura 1 – Contribuzione alla crescita del PIL USA (pp)

Figura 1 – Contribuzione alla crescita del PIL USA (pp)
Fonti: FMI, Allianz Research

La ripresa deriverebbe principalmente dalla politica di stabilizzazione del governo statunitense e della Fed. Per il momento abbiamo previsto un pacchetto di stimoli fiscali di 2.300 miliardi di dollari USA, con un moltiplicatore vicino a uno, che contribuirà per 1 punto percentuale alla ripresa dell'economia statunitense nel 2020 e per 1,1 punti percentuali nel 2021. Per ora, non abbiamo considerato il pacchetto di 2.000 miliardi di dollari sulle infrastrutture, che è una chiara possibilità, ma non è stato ancora votato dal Congresso. Come risultato di questo attivismo dal lato fiscale, la crescita del PIL statunitense dovrebbe rimbalzare a +3,3% annuo nel 2021. Tuttavia, il deficit fiscale statunitense dovrebbe essere vicino al 9,6% del PIL nel 2020 e all'8,5% del PIL nel 2021.

 

Durata della crisi: le perdite cumulate in termini di valore aggiunto sono potenzialmente maggiori rispetto alla crisi dei subprime

Ovviamente, se la situazione dovesse peggiorare dal punto di vista sanitario, la ripresa degli Stati Uniti potrebbe richiedere molto più tempo. La natura della crisi ci pone attualmente di fronte a un livello di incertezza estremamente elevato: più lungo è lo shock, più grave è il suo impatto sulla crescita. Abbiamo individuato tre diversi scenari per la durata della crisi:

  • Uno scenario a forma di U della durata di un mese, in cui il confinamento porta a una contrazione dell'attività del 20% al di sotto del livello normale (come osservato in Cina), con un de-confinamento dopo il quale si ritorna progressivamente al nomale livello di attività pre-crisi
  • Uno scenario a forma di U della durata di due mesi: Le attività economiche rimangono per due mesi al di sotto del loro livello tendenziale normale del 20%, seguite da un processo di de-confinamento di quattro mesi (il nostro scenario centrale per ora)
  • Uno scenario a forma di L: La dimensione, la durata e le ripercussioni dello shock sono molto più grandi, portando ad default creditizi molto gravi e ad una situazione in cui gli stimoli fiscali e monetari non sono in grado di far ripartire il motore della crescita.

In termini di perdite cumulate, lo scenario a L presenta ovviamente la peggiore situazione. L'aspetto della durata della crisi in questo caso è importante in quanto l'impatto iniziale è vicino all'impatto iniziale degli scenari a forma di U. Nello scenario a forma di L, un forte deterioramento del mercato del credito, con il default delle aziende di dimensioni sistemiche, innescherebbe un congelamento delle condizioni monetarie e finanziarie. La crisi sanitaria si trasformerebbe poi in una vera e propria crisi globale del debito, sia a livello pubblico che privato. Le tabelle 1, 2, 3 e 4 forniscono dettagli in termini di perdite cumulate rispetto ad una situazione in cui l'economia statunitense cresce al suo potenziale di crescita, e presentano la crisi subprime come termine di riferimento

Tabella 1 - Perdite cumulate in termini di valore aggiunto (2 mesi / forma a U, miliardi di USD)

Tabella 1 - Perdite cumulate in termini di valore aggiunto (2 mesi / forma a U, miliardi di USD)
Fonti: FMI, Allianz Research
Tabella 2 - Perdite cumulate in termini di valore aggiunto (1 mese / forma a U, miliardi di USD)
Tabella 2 - Perdite cumulate in termini di valore aggiunto (1 mese / forma a U, miliardi di USD)
Fonti: FMI, Allianz Research
Tabella 3 - Perdite cumulate in termini di valore aggiunto (oltre due mesi / forma a L, miliardi di USD
Tabella 3 - Perdite cumulate in termini di valore aggiunto (oltre due mesi / forma a L, miliardi di USD
Fonti: FMI, Allianz Research
Tabella 4 - Perdite cumulate in termini di valore aggiunto (crisi dei subprime, miliardi di USD)
Tabella 4 - Perdite cumulate in termini di valore aggiunto (crisi dei subprime, miliardi di USD)
Fonti: FMI, Allianz Research

Il nostro scenario centrale è ormai prossimo alla crisi dei subprime in termini di perdite cumulate nell'orizzonte di quattro anni. Tuttavia, il suo impatto immediato nei primi due anni è molto maggiore rispetto a quella crisi di oltre 10 anni fa.

All’orizzonte un potenziale aumento del 25% delle insolvenze delle società americane in funzione dell'attuazione dello stimolo fiscale

Per stimare il potenziale impatto dell'attuale crisi sulle imprese, studiamo il legame tra il tasso di inadempienza dei prestiti commerciali e industriali (30 giorni di ritardo rispetto alla scadenza concordata) e il tasso di disoccupazione, il divario tra credito e PIL (BIS, Bank for International Settlements) e il livello della spesa pubblica in percentuale del PIL. Con questi tre elementi, abbiamo l'impatto negativo iniziale (l'entità dello shock), il fattore di fragilità con il credit gap (probabilità di avere conseguenze durature in caso di elevata fragilità ≈ durata della crisi) e il fattore di aggiustamento con la reazione della politica fiscale (il fattore di reazione della politica). Utilizziamo un approccio tridimensionale (dimensione, durata, reazione della politica) per identificare il potenziale impatto della crisi attuale sulla solvibilità delle aziende. La tabella 5 presenta i risultati della nostra stima.

Tabella 5 - Stima del tasso di insolvenza delle società non finanziarie statunitensi

Tabella 5 - Stima del tasso di insolvenza delle società non finanziarie statunitensi
Fonti: FMI, Allianz Research

Questa equazione ci permette di anticipare la potenziale evoluzione delle insolvenze negli Stati Uniti nei prossimi quattro trimestri. Utilizziamo le nostre previsioni sul tasso di disoccupazione negli Stati Uniti, ipotizziamo una progressione dell'1% per trimestre del gap tra credito e PIL (come osservato durante la crisi dei subprime) e utilizziamo come input quello che ci aspettiamo in termini di spesa pubblica (in aumento del 9% del PIL in un anno). Le equazioni suggeriscono che il tasso di insolvenza statunitense delle società non finanziarie potrebbe passare dall'1,1% del quarto trimestre del 2019 al 6,5% di fine anno, il livello più alto dal 1992.

Figura 2 - Tasso di morosità (% del totale dei prestiti a imprese non finanziarie)

Figura 2 - Tasso di morosità (% del totale dei prestiti a imprese non finanziarie)
Fonti: FMI, Allianz Research

Osservando la correlazione tra il tasso di inadempienze e le insolvenze, troviamo che le insolvenze potrebbero alla fine aumentare del 25% tendenziale nel 2020. Riteniamo che, visti i programmi di assistenza già votati dal Congresso e la rapida creazione da parte della Fed di strutture rivolte sia alle PMI che alle grandi imprese, è probabile che si assista ad una relativamente rapida attuazione delle politiche di stabilizzazione. Nonostante una maggiore entità dello shock (che si materializza in un tasso di inadempienza record), ci aspettiamo che la progressione delle insolvenze (+25%) sia inferiore rispetto alla crisi dei subprime. In effetti, all'epoca, le insolvenze erano aumentate in media del 47% annuo. Ci sono diverse ragioni per spiegare questo:

  • La dimensione e soprattutto la rapidità delle misure attuali di stimolo, sia a livello monetario che fiscale.
  • Il disegno di policy mix, che dà chiaramente la priorità al sostegno del lato reale dell'economia (in particolare delle imprese) rispetto alle istituzioni finanziarie, che erano prioritarie durante la crisi dei subprime.
  • La migliore posizione di cassa delle imprese prima dello shock.

Oltre all'enorme entità dell'attuale stimolo fiscale (stimato al 10% del PIL con la possibilità di essere raddoppiato con programmi infrastrutturali) e alla rapidità della sua attuazione (enormi iniezioni di liquidità, la creazione di numerose linee di credito e il voto del pacchetto fiscale di 2,3 mila miliardi di dollari prima ancora del peggioramento delle condizioni macroeconomiche), insistiamo sul fatto che esso equivale a un vasto sistema di garanzie di credito, che eviterà che le sofferenze diventino insolvenze. La Fed ha recentemente annunciato la creazione di una struttura che completerà il cosiddetto Paycheck Protection Program, un programma di 350 miliardi di dollari che fornirà prestiti alle piccole e medie imprese per la copertura di salari, affitti e servizi. Fornendo finanziamenti a termine alle banche che distribuiscono questi prestiti SBA (Small Business Administration), la Fed permetterà un ampio utilizzo di questa garanzia di prestito da parte delle banche. In questo contesto, le banche non esiteranno a continuare a distribuire finanziamenti a breve termine alle piccole e medie imprese. A livello di grandi imprese, la Fed ha creato altre due strutture, il PMCCF (Primary Market Corporate Credit Facility), per l'emissione di nuove obbligazioni e prestiti, e lo SMCCF (Secondary Market Corporate Credit) per scopi di liquidità. Queste linee di credito saranno in grado di fornire finanziamenti ponte alle società investment grade per quattro anni.

 

Le imprese dispongono di riserve di liquidità più forti rispetto alla situazione precedente la crisi dei subprime, ma il grado di protezione varia notevolmente da un settore all'altro. I livelli più elevati dei coefficienti di liquidità rispetto ai fabbisogni di capitale circolante mostrano una maggiore esposizione al rischio di una brutale interruzione delle vendite

Le imprese statunitensi sono tutte esposte al rischio di liquidità sia per l'improvvisa interruzione delle operazioni commerciali sia per la potenziale interruzione dei finanziamenti. Tuttavia, i loro punti di partenza sono diversi da un settore all'altro in termini di posizione di liquidità e di fabbisogno di capitale circolante (WCR, Working Capital Requirement). Affrontiamo entrambe le questioni guardando i rapporti finanziari trimestrali delle società statunitensi disponibili per settore per il quarto trimestre del 2019 (il campione riguarda qui tutte le società statunitensi e non solo quelle quotate). Calcoliamo la posizione di cassa in termini di numero di giorni di fatturato per valutare la vulnerabilità dei settori alla durata di una pausa di attività (maggiore è la posizione di cassa, maggiore è la capacità di sopravvivere a una lunga pausa di attività). Inoltre, consideriamo l'importanza del contante rispetto al WCR, poiché un WCR positivo è sempre associato a un fabbisogno di finanziamento in base al quale l'azienda dispone di linee di finanziamento esterne, concesse il più delle volte dalle banche quando non hanno più abbastanza contante (autofinanziamento). La figura 3 mostra che le riserve di liquidità erano più importanti alla fine del 2019 rispetto al periodo precedente la crisi dei subprime.

Figura 3: Industrie statunitensi - Posizione di liquidità in numero di giorni di fatturato (a sinistra) e Cassa/Fabbisogni di circolante (a destra)

 Figura 3: Industrie statunitensi - Posizione di liquidità in numero di giorni di fatturato (a sinistra) e Cassa/Fabbisogni di circolante (a destra)

* Asset pari e superiori ai 50 Milioni di dollari

Fonti: IHS (relazioni finanziarie trimestrali), Allianz Trade, Allianz Research

Il commerco all'ingrosso e al dettaglio sono i settori più rischiosi sulla base della liquidità iscritto in bilancio a fine 2019.

Il buffer di liquidità differisce significativamente da un settore all'altro. Prima dell'epidemia di Covid-19, alla fine del 2019, le società commerciali e di vendita all'ingrosso statunitensi avevano registrato una liquidità aggregata di 133 miliardi di dollari USA, pari a 31 giorni di fatturato, e un fabbisogno di capitale circolante aggregato di 170 miliardi di dollari USA, pari a 72 giorni di fatturato. Per le imprese manifatturiere statunitensi, la liquidità aggregata ammontava a 386 miliardi di dollari (82 giorni di fatturato) e il fabbisogno di capitale circolante aggregato a 968 miliardi di dollari, pari a 207 giorni di fatturato.

La vulnerabilità complessiva sembra essere inferiore quando si confronta il commercio all'ingrosso con il commercio al dettaglio, ma il livello di rischio del settore del commercio al dettaglio potrebbe essere più elevato, poiché anche questi importi in liquidità rappresentano il 45% del fabbisogno di capitale circolante, il doppio rispetto al commercio all'ingrosso (20%). A questo proposito, il commercio di prodotti alimentari e bevande si basa in particolare sulla cassa per il finanziamento del WCR (124%), rispetto ad altre attività di vendita al dettaglio e all'ingrosso e alla maggior parte delle industrie manifatturiere. Anche in questo caso, un elevato rapporto tra liquidità e fabbisogno di capitale circolante è un indicatore di fragilità nel contesto attuale, in quanto rivela una maggiore dipendenza dalle vendite per finanziare i normali livelli di attività a breve termine.

Il quadro globale delle industrie manifatturiere è più favorevole con un livello di liquidità più elevato rispetto al livello delle vendite (82 giorni) e un ammontare limitato rispetto al fabbisogno di circolante (40%). Tuttavia, questi dati nascondono un spettro più ampio e non omogeneeo di vulnerabilità quando si guarda ai sottosettori. I settori manifatturieri di beni non durevoli più esposti nelle loro posizioni di cassa ad una pausa nelle vendite sono l'industria petrolifera e del carbone (18 giorni), alimentare (40), tessile (44) e della carta (46).  Un calo della liquidità sarebbe più problematico per le esigenze di circolante nel settore chimico e farmaceutico a causa del loro elevato rapporto cassa/necessità di capitale circolante, ma entrambi presentano una posizione di cassa iniziale più forte. I settori manifatturieri di beni durevoli stanno mostrando in media un maggior numero di margini di sicurezza, con una liquidità pari a 99 giorni di fatturato. Tuttavia, tre segmenti si distinguono con una quantità inferiore di liquidità: veicoli a motore e pezzi di ricambio (42 giorni), prodotti in legno (48) e mezzi di trasporto (55).   I settori più vulnerabili al calo della liquidità per il finanziamento del loro capitale circolante sono quelli dell'informatica (computer ed elettronica, apparecchiature di comunicazione, apparecchiature elettroniche), ma questi ultimi sono anche il settore con una posizione di cassa iniziale più forte.

Figura 4: Industrie statunitensi - Posizione di cassa in numero di giorni di fatturato e Liquidità/Fabbisogni di circolante

 

Figura 4: Industrie statunitensi - Posizione di cassa in numero di giorni di fatturato e Liquidità/Fabbisogni di circolante

* USD50mn and over in assets

Source: IHS (quarterly financial reports), Allianz Trade, Allianz Research

DICHIARAZIONI PREVISIONALI

Le dichiarazioni contenute nel presente documento possono includere prospettive, dichiarazioni di aspettative future e altre dichiarazioni previsionali che si basano su opinioni e ipotesi attuali della direzione e comportano rischi e incertezze noti e sconosciuti. I risultati, le prestazioni o gli eventi reali possono differire materialmente da quelli espressi o impliciti in tali dichiarazioni previsionali.
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